Potrei dire che non me lo ricordo, a che cosa serve leggere libri, perché sono passati anni da quando mi sono posta questa domanda per la prima volta e l’unica risposta che ho saputo darmi nel tempo è stata una sola: a rassicurarmi sul fatto che il mondo che mi propina qualche burattino a sua volta manovrato da interessi di potere, utilizzando, tra l’altro, coercizioni che creano inevitabilmente una quotidianità alienata e delirante, NON E’ REALE. Ho smesso di ascoltare gli imbonitori da schermi televisivi e mediatici in genere ormai molti anni fa. Ho smesso, mi sono disintossicata da televisioni, social e anche canali radio palesemente vendute al miglior offerente.
Ho letto dei libri, appunto; mi sono dedicata a quest’attività ritenuta fuori tempo. Ho studiato le tecniche di manipolazione, di comunicazione subdola, utilizzata per fini altrettanto subdoli e quando ho inteso il meccanismo malato, ho preferito fare la spettatrice esterna. Mi sono posta a distanza, ad osservare, non lo nego, con un certo disgusto e raccapriccio. Ho visto crescere la disfatta del genere umano, oppresso dal fuoco incrociato e senza sosta dei proiettili mediatici pesanti e dediti all’aspersione rituale di sostanze informative nocive, che innescano la produzione malsana, chimica e neuronale di particelle devastatrici. Ho visto la luce spegnersi negli intelletti di potenziali menti brillanti, ma assuefatti spettatori o fruitori patologici di media tecnologici.
Per questo dico spesso che sono una miracolata; io c’ero dentro fino al collo in quella merda, esattamente come la maggior parte dei miei simili, perché sono di una generazione che nel nostro Paese era stata presa come oggetto di studio pilota in via preferenziale, a partire dagli anni ottanta in poi. Bombardati dal nulla mediatico delle televisioni private dalla mattina alla sera, dalla volgarità sdoganata fino a rasentare la pornografia, per poi essere sottoposti ad un nuovo trattamento anche dalle televisioni pubbliche che, per questioni di concorrenza e di mercato, hanno dovuto adeguarsi alla nuova ondata di format provenienti da oltre oceano.

Si è perso il ruolo costruttivo ed educativo della televisione di qualità, si è gettato tutto ai porci in nome di un progetto di manipolazione di massa che molti oggi nemmeno si rendono conto di aver subito, tanto subdola e ben studiata è stata la strategia di attuazione. Si è passati dai programmi educativi che hanno insegnato a milioni di italiani a leggere e a scrivere, ai quiz televisivi che hanno insegnato agli italiani che l’unico obiettivo di una vita può essere la vincita al totocalcio o ad un quiz in televisione. E non a caso, il metodo dei quiz a risposta multipla è entrato di prepotenza come metodo di valutazione scolastica, imponendo un meccanismo che con la vera conoscenza ed i veri metodi di apprendimento non ha nulla a che vedere!

Si è passati dai telefilm di qualità con sceneggiature e attori di primo livello, ai format di intrattenimento dove il sesso e la volgarità sono stati sdoganati fino al parossismo; si è passati dalla difesa di valori come la famiglia e l’amicizia alla manipolazione mirata nell’uso dei corpi femminili come vessillo dello stimolo primordiale, condito di un prototipo fuorviante a discapito dell’utilizzo del cervello per entrambi i sessi. Lentamente si sono abbruttiti gli italiani propinando loro, con insistenza e bestialità, modelli degradanti e privi di etica e valore morale.

E a chi mi dice che ho una mentalità bigotta rispondo chiedendo se sa dirmi quale è la differenza fra sesso ed erotismo; oggi nessuno conosce la differenza, perché la maggior parte di questi benpensanti, non sanno distinguere nemmeno la portata di una sberla data a una ragazza a fronte di una carezza, con tutte le conseguenze che questo comporta.
La maggior parte degli italiani non sa più distinguere fra una citazione buttata a caso sui social, tanto per darsi arie da intellettuali, spesso confondendo a cazzo gli autori, e una poesia contestualizzata; non sanno distinguere fra un’opera d’arte vera e uno scarabocchio venduto come “arte contemporanea” e se è per questo non saprebbero distinguere nemmeno un Leonardo da un Raffaello, o un Caravaggio da un Giotto. Eppure, viviamo nel Paese dove questi geni dell’Arte (e non solo) sono nati… ma ci viviamo per niente; perché non li conosciamo e non li sappiamo riconoscere. Ma tutti sanno chi è Umberto Smaila, almeno quelli della mia generazione.

Tutti sanno chi è la Ferragni, quanti tatuaggi ha Fedez e perché la Pausini non vuole cantare Bella Ciao. Se si chiede all’italiano medio se è consapevole della manipolazione che sta subendo e ha subito, ti dicono che sei complottista; anche questa parola è tata introdotta ad arte” nell’immaginario collettivo; oppure, la maggior parte, ti risponde che non ne sa nulla.
La manipolazione non sarebbe tale se le vittime fossero consapevoli. Ed oggi, la dose viene rincarata con i social, che stanno sostituendo le televisioni in maniera ancor più devastante ed efficace; anche qui, la maggior parte di chi li subisce, anziché usarli a proprio vantaggio, è del tutto inconsapevole di esserne succube.
Esistono osservatori ben pagati che entrano in tutti gli ambiti social con l’unico scopo di monitorare quanto sta avvenendo; accade anche fra i bloggher, ovviamente, e quando mi rendo conto che c’è qualcosa di anomalo, mi diverto ad osservare; studiare chi ci studia per rendere più efficace la manipolazione o l’utilizzo dei dati per fini commerciali è molto istruttivo, credetemi. Potrei sembrare una complottara qualunque, esternando queste riflessioni, ma non importa; anche questo, anche il giudizio degli inconsapevoli ha sempre fatto parte del gioco sociale.
Personalmente, ad un certo punto ho avvertito il senso di pericolo, di disagio profondo; ho avvertito la netta sensazione che stavano riuscendo a rinchiudermi in una gabbia senza via d’uscita e la reazione immediata è stata la fuga! Mi ricordo perfettamente il periodo in cui è accaduto; mi sono resa conto che non ero più padrona dei miei pensieri, che ciò che pensavo proveniva da altro, dai condizionamenti che avvenivano al di fuori di me.
Avevo bisogno di ritrovarmi, di fermarmi a fare un’analisi approfondita di me stessa, per capire chi ero e dove stavo andando. E per farlo dovevo allontanarmi fisicamente da un contesto che collaborava con ogni mezzo alla mia “reclusione forzata” in una gabbia apparentemente dorata, ma fatta del nulla più assoluto, sia in senso morale, che etico.
Ho lasciato tutto, rinunciando alla carriera, a una vita sociale piena e molto attiva; ho rinunciato al contesto universitario che, diciamocelo, è un mondo a parte che con il mondo vero ha poco o nulla a che vedere, e che di certo non sempre aiuta a rendersi conto della Realtà. Mi sono trasferita in un luogo isolato, e mi sono rintanata in una Valle chiusa, molto fredda nei mesi invernali e dove non voleva andare nessuno; quella è stata la scelta appropriata. Avevo a disposizione solo i miei libri, nessuna connessione internet; avevo a disposizione la mia salvezza.
E lì mi sono ricordata a che cosa serve leggere libri; a salvarti l’esistenza, visti i tempi in cui viviamo. Sono stata piacevolmente distratta dai monti, dai boschi, dalla Realtà concreta di un vivere che sapeva di ritmi lenti e a misura d’uomo e odori reali, colori reali; sapeva di fatica vera che mi ha riportata con i piedi per terra; sapeva di sensazioni che con il virtuale non hanno mai avuto nulla a che fare. Quella è stata la mia àncora, per questo sono tanto grata alla Natura, ai boschi e ai monti. Per questo li amo più ancora di quanto non ho mai fatto in passato, quando ero piccola, e tutto questo per me era una quotidianità quasi priva di interferenze.

Io sono quella che lascia spessissimo il cellulare a casa quando esce, perché se lo dimentica; o che se si scarica rimane scarico per giorni, prima che io me ne accorga. Io sono quella che sfrutta internet per scrivere e condividere, ma che una volta finito il compito, si dedica ad altro, senza pensarci nemmeno mezzo secondo, perché tutto ciò che è altro è molto, molto, molto, molto più gustoso da vivere. Sono quella che è grata alla tecnologia, perché mi permette di fare cose un tempo sarebbero state inimmaginabili, che non la demonizza certo per partito preso, ma che ne condanna l’uso malsano e manipolatorio che nel tempo la gente è stata subdolamente indotta a subire.
Io sono quella che legge i libri con i libri in mano, quelli fatti di carta, anche se mi ingombrano la casa, anche se raccolgono polvere e anche se mi impediscono di passare quando vado in biblioteca o in soffitta; non rinuncerei mai all’oggetto libro. Mai! Se un giorno non li creeranno più, non li pubblicheranno più, me ne sono fatta buona scorta e sopravvivrò con quelli, rileggendoli, magari; ma ho un accumulo sufficiente per permettermi una lettura a lungo termine anche di quelli che ancora non ho letto.
Ho fatto molta fatica a riappropriarmi della mia capacità di pensare in autonomia; non è stato facile, perché il periodo di disintossicazione è stato molto scomodo, per molti versi destabilizzante e la tentazione a ricadere nel circolo vizioso era forte; tuttavia questo periodo è stato anche relativamente breve.
Ci ho messo un anno pieno a calmare la mente; a non sentire più l’affastellarsi di pensieri inutili e ansiogeni che si presentavano in continuazione nel mio cervello. Ho volutamente subito la mancanza di stimoli reiterati e martellanti dati da immagini colorate, gradevoli ed accattivanti che gli schermi del cellulare e del monitor del pc propongono in continuazione.
Mi sono imposta di scrivere a mano, buttando la tastiera, per riabituare i due emisferi del cervello a collaborare fra di loro in modo creativo; questa è una cosa che dovrebbero fare in tutte le scuole, perché in termini di stimoli cerebrali, un conto è scrivere a mano e un conto è trascinare il dito su uno schermo. Per guarire da tali handicap sono utilissimi il disegno e la pittura; mi sono messa a dipingere e a disegnare.
E ho ripreso a leggere i libri, ovviamente; la vera salvezza è arrivata da lì. E io mi auguro che molti altri ricomincino a fare questo, perché un conto è decidere di utilizzare un mezzo in modo consapevole e un conto è divenirne schiavi; inconsapevoli, ma pur sempre schiavi!
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