Al mio paese si racconta di una donna con una veste bianca e lunghi capelli neri, che appare alla vigilia della morte di qualcuno; mia madre mi raccontava spesso delle donne che quando andavano a lavare i panni alle fontane, vedevano questa figura. Quando succedeva bisognava farsi il segno della croce e prepararsi al peggio, perché sicuramente in paese qualcuno sarebbe morto presto. La chiamavano “La Dama Bianca”.
Negli anni sessanta Fausto Coppi, il grande ciclista, ebbe una relazione extraconiugale con una donna che i giornali dell’epoca chiamarono “la Dama bianca”, e io quando lessi queste vecchie cronache gossippare in una rivista che trovai in soffitta, mi dissi che i giornalisti non sapevano proprio niente della “vera” Dama Bianca, perché altrimenti non l’avrebbero definita così, l’amante di Coppi. Tuttavia, l’ignoranza su questioni delicate legate al folklore dei paesi alpini, è ancor più diffusa oggi di allora.
Oggi, quando si parla della Morte, e lo si fa raramente, la si dipinge con un Manto Nero. Un tempo tutte le donne dell’arco alpino portavano lunghe gonne scure, soprattutto nel mondo contadino, dove non ci si poteva certo permettere di indossare abiti chiari, visto che lo sporco legato al lavoro nei campi sarebbe stato troppo evidente. Una dama vestita di bianco, doveva per forza di cose venire da un altro mondo. Ci si vestiva di nero anche quando si andava a sposarsi, perché poi quell’abito lo si poteva usare per anni per i giorni di festa; l’abito bianco divenne di moda nei nostri paesi solo dopo il boom economico, quando il mondo moderno spinse con prepotenza, insinuandosi ovunque, anche fra le sperdute valli alpine.
La Dama Bianca si mostrò sempre meno, finché scomparve del tutto; l’attenzione della gente era volta a cose più terrene e materiali e piano, piano, si persero le tracce di questi eventi particolari e misteriosi. Tuttavia non fu un bene, a mio avviso; oggi nessuno parla più di Morte, ma tutti hanno il terrore di morire. Parlo di terrore, non di paura. Questo rapporto insano con Madama Morte è qualche cosa di patologico e malato, a mio parere, perché non permette di avere un rapporto sano ed equilibrato con le “cose del Mondo”.
Io vivevo in una casa che nel 1972 venne distrutta da un incendio innescato da un fulmine; in quella vecchia casa ci vivevano tre generazioni; la mia, quella di mio padre e quella dei nonni e prozii. La casa venne ricostruita secondo i canoni edilizi vigenti negli anni del boom economico, ma seguendo fortunatamente uno stile legato alla tradizione locale; non serve dire che nonni, prozii e genitori si indebitarono fino al collo per poter avere un tetto sopra la testa, ma riuscirono a saldare i debiti e a sopravvivere. E vissero lì fino alla loro morte.
Al primo piano vivevamo noi e ai piani bassi vivevano i vecchietti; erano mia nonna paterna con mio nonno, i fratelli di mio nonno, di cui uno sposato con la relativa consorte e altri due, fratello e sorella non sposati. Quando nacqui io, erano tutti sopra le settantina. Li vidi morire tutti e di tutti mi ricordo il funerale. Mi ricordo il prete che venne in casa per confessarli e dare l’estrema unzione. Mi ricordo il pianto delle mie zie. Mi ricordo che le donne di casa dovevano vestire il morto e lo facevano con metodo; solo loro, gente di famiglia, senza lasciarlo toccare da nessun altro. E poi lo lasciavano in pace.
Un tempo i morti si tenevano in casa per tre giorni. Si mettevano nella bara, gli si accendeva un lumino con uno stoppino immerso nell’olio, in modo che non si spegnesse mai, nemmeno di notte, quando lo si lasciava da solo, oppure delle candele quando si era presenti. Questo dettaglio è importante. Gli si mettevano dei fiori freschi accanto e anche questo è importante. Poi si pregavano tutte le due sere prima del funerale, le orazioni e la corona per i defunti, un tempo in latino, poi in italiano. Alle pareti si appendevano delle piccole lenzuola decorate con delle frasi e dei fiori ricamati a mano dalle donne di casa, in tedesco antico; quelle frasi erano delle brevi preghiere e servivano ad accompagnare il defunto e a rassicurare i vivi.
La gente del paese veniva a “dare l’acqua santa al morto”, ovvero a salutarlo. Venivano tutti quelli che erano in grado di muoversi, a tutte le ore del giorno fino a sera tardi; proprio tutti. E la casa alla sera si riempiva di gente, per dire insieme le orazioni che dovevano aiutare il morto a lasciare questo mondo, per andare dove dove doveva andare, possibilmente in paradiso. Io osservavo tutto questo via vai di paesani mesti e tristi con gli occhi di una bambina e capivo che era una cosa seria, una cosa di cui avere grande rispetto. Stavo in silenzio in un angolo e guardavo.
Quando tutti se n’erano andati, mi lasciavano entrare liberamente nella camera del defunto; potevo anche toccarlo, se volevo. Era permesso. A volte mi accompagnava un adulto, mi spiegavano come avveniva che una persona moriva e dove se ne sarebbe andata; mi spiegavano che dopo il funerale quella persona non l’avremmo più vista e che quindi dovevo salutarla, o salutarlo in quel momento, prima del funerale. Io ero piccola, ma sapevo capire perfettamente; capivo perché tutti erano tristi. Capivo che la persona non dormiva, ma era morta. E fu così che io salutai i miei prozii, i miei nonni e molte persone care che non ci sono più.
Ora, questi riti di distacco sono indispensabili per dare dignità al trapasso da una vita terrena a qualcos’altro, a prescindere da quale credo religioso o meno religioso si professa; a prescindere se si è credenti o no. Sono indispensabili per chi rimane, perché abbia modo di elaborare un lutto in modo sano ed equilibrato. Non sono solo usanze e tradizioni; sono riti di passaggio fondamentali e quello legato alla Morte è il rito più importante, perché permette di affrontare la paura dell’ignoto a chi rimane in vita. Permette di morire in modo dignitoso quando arriva la nostra ora, perché a questo non ci si pensa mai, ma vi comunico ufficialmente e con una certa sicurezza, che prima o poi tocca a tutti.
Comportarsi come se Madama Morte non ci riguardasse, relegando la questione a mezza giornata di scomoda cerimonia funebre, per poi rimuovere al più presto la questione è decisamente poco intelligente; tutto quello che viene prima, oggi lo si delega alle case di riposo, agli ospedali, ai servizi funebri, al personale specializzato. Praticamente dal momento che attorno a una persona aleggia sentore di dipartita, quella persona va isolata e ignorata, perché affrontare la Morte non è piacevole e le situazioni spiacevoli è meglio evitarle. Ma gente, tutto questo è disumano, non so se ci rendiamo conto!!
La vecchiaia è gestita in modo osceno al giorno d’oggi; i vecchi vengono considerati poco produttivi, spesso inutili ed il più delle volte scomodi. Non c’è più il rispetto per l’esperienza di una vita, per la saggezza, per la capacità di saper tramandare conoscenza; i vecchi stessi si ritengono inutili e di peso!! È madornale tutto questo! Ci hanno saputi convincere che dal momento che una persona non è più utile alla produttività materiale, quella persona non vale più niente!! Ci hanno convinti che i nonni servono ad allevare i figli dei figli, ma se non sono più in grado di farlo, allora vanno rinchiusi in qualche struttura “dove sanno prendersi cura di loro”! E se va bene li si va a trovare a Natale, perché non si ha tempo, che bisogna lavorare per pagare la retta!!
Questo accade perché chi è a “fine carriera”, come si dice cinicamente oggi, nell’immaginario collettivo risulta inutile e ingombrante. E’ il prototipo della disumanizzazione più becera e schifosa, questa!!! Ed è la stessa mentalità che libera dalla responsabilità di affrontare anche la Morte; perché di responsabilità si tratta. Non si può scegliere di non morire, quindi è responsabilità di ognuno saperlo fare con dignità e accompagnare chi deve morire con altrettanta dignità!! E’ una legge di Natura e chi non rispetta queste leggi è destinato a soccombere al peggio ed oggi ne abbiamo le prove evidenti!
La paura della Morte nasce dalla malsana abitudine di ignorarne l’esistenza, di nasconderLa nelle “strutture dedicate”, a considerarLa sempre e comunque un problema degli altri! Ebbene, a quelli che di questi argomenti non vogliono parlare, perché risultano scomodi e sgradevoli, comunico che prima o poi dovranno occuparsene in prima persona, volenti o nolenti! Perché se anche la Dama Bianca non ha più voglia di farci la cortesia di avvisarci prima per farci trovare pronti, perché non ce lo meritiamo più, Lei, la Signora dal Manto Nero, arriverà comunque, per tutti, anche per quelli che non ne vogliono sapere.
La Vita non è un film e non è un videogioco, dove se muori hai poi altre vite da spendere. La realtà è un’altra cosa e queste cose bisognerebbe cominciare a spiegarle ai bambini,(e anche alla maggior parte degli adulti, che in tal senso dovrebbero crescere) con il dovuto tatto, certo, ma va fatto. Perché se non si fa, crescono nell’illusione che “vada sempre tutto bene” e quando qualcosa non va bene per niente, visto che della vita reale non sanno proprio niente, se va bene si fanno una canna, poi sniffano, una pasticca e una pera e lentamente si ammazzano da soli. Oppure alla prima occasione, quando qualcuno li riesce a spaventare a morte (appunto), pur di avere un nuovo bonus e continuare la partita, si fanno fare di tutto, compresa un’iniezione letale!!!
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