Ci fu un tempo in cui il mio paese si aggrappava su un versante calvo, copletamente spoglio, senza nemmeno un albero a tenerlo fermo e aggrappato alla roccia.
C’erano i pastori; solo loro, e i contadini. Pecore e capre e poche vacche. Il terreno era coltivato, quasi tutto, o tenuto a pascolo, fino alle quote più elevate; la fatica di tenersi in piedi sui pendii era accompagnata dalla fatica di lavorarli con mezzi medievali. Il bosco veniva mantenuto per la legna, appena il necessario. Ed il legname era merce rara e molto, molto preziosa. Si uccideva per un tronco d’albero.
Poi i signori nobili scoprirono che si potevano sfruttare anche i sottosuoli e vennero i minatori e allora c’erano le miniere d’argento, di calcopirite e di antimonio in Valle; e le miniere mangiavano il legno, per i pali di sostegno delle gallerie, per i puntelli, ma soprattutto per le fornaci. E si tagliò tutto il bosco, di nuovo.
Le montagne erano spoglie. I larici venivano portati a valle, poi fatti galleggiare sull’Adige e portati lontano per venderli; ci costruivano le città nelle lagune sui larici, e con i pali di larice ci facevano anche le navi.
Poi vennero le guerre e il legname serviva per le traverse delle ferrovie, per costruire baracche, per costruire forti e per riscaldare i soldati. Le lame di segheria ad acqua mangiavano e tagliavano l’ultimo legno rimasto. E il bosco venne tagliato, di nuovo.
Sui versanti boscati del mio paese, oggi ci sono solo piante giovani. Una pianta quando ha settant’anni o ottanta, è relativamente giovane; poi dipende dalla specie.
Da noi nemmeno un faggio si è salvato… nemmeno uno e infatti non ne trovi. Ed i castagni li trovi solo nella parte bassa dei versanti e anche quelli, mica tanti e mica tanto vecchi; lasciati perché erano fonte di cibo, non per altro.
Il resto è abete rosso e larici, tutti relativamente giovani. Nessun albero che si può considerare veramente vecchio vive su quelle montagne. Le vecchie fotografie storiche, parlano chiaro; assenza totale di vegetazione, ovunque. Oggi la chiamano la “Valle Incantata”; per anni io ho pensato invece che fosse la valle più spolpata, insieme ad altre valli di alta quota.
L’essere umano ha sempre e solo preso, da quei versanti, in ogni epoca, con ogni mezzo.E quei versanti hanno sempre donato, tutto, anche quello che in apparenza sembrava non potessero più avere. Hanno prodotto bosco, hanno prodotto acqua, erba. In continuazione, all’infinito.
La gente nei miei paesi era povera fin dall’inizio, quando arrivarono a colonizzare le montagne dalla Boemia, dalla Baviera in epoca medievale; contadini che portavano avanti una mera economia di sussistenza. Per centinaia d’anni, al servizio dei nobili ai quali pagavano le tasse.
Poi, negli anni 50-60 del 900, dopo la guerra, hanno venduto il legname rimasto, che valeva oro, e sono andati via, in molti. Con i soldi del legname hanno comprato i masi nei paesi di fondo valle, vicino alle città. Si sono sparsi un po’ ovunque, i mòcheni.
Chi era andato via, negli anni del boom economico ha fatto i soldi. Uno spostamento da poco, se paragonato a chi ha preso i bastimenti per andare oltre oceano negli anni venti, ma è servito per cambiare vita, per cambiare modo di vedere il mondo.
Uno zio di mia madre è stato uno di quelli che se ne andò dal paese e comprò un maso nella Bassa Valsugana; era diventato ricco, coltivando la terra e allevando bestiame.I figli poi, hanno venduto tutto e sono spariti; quelle proprietà oggi sono dell’ente pubblico che le usa come vivaio e come luogo di rappresentanza.
Il primo ed unico momento in cui la mia gente ha visto un po’ di benessere materiale è stato negli anni 60, quando i krommeri (venditori ambulanti) si sono evoluti e anziché andare a piedi con la tradizionale kraizera sulla schiena fino alle valli alto atesine, si comprarono le prime macchine e i primi furgoni volkswagen (le macchine del popolo create dalla germania nazista) per andare a fare commercio di stoffe e utensili in Alto Adige. Le donne a casa, ad allevare i figli, a lavorare i campi e a tenere il bestiame.
Chi ha continuato il lavoro di krommer, oggi ha negozi ben avviati di materassi e biancheria per la casa nei centri cittadini. Gli altri valligiani con il tempo sono finiti in fabbrica a fare i pendolari o in qualche altra attività commerciale; pochi negli uffici pubblici, perché l’istruzione era una perdita di tempo. Pochissimi gli imprenditori, ancor meno i laureati. Se paragonati ai loro padri e nonni, vivono però tutti una vita da signori, tutti quanti; casa di proprietà e vita dignitosa. E intanto, il bosco sta crescendo, salvo segnali importanti di regresso.
Perché se tu osservi la montagna, la montagna ti dice anche quanto è ricca la gente che ci abita. Una montagna senza vegetazione è una montagna che parla di povertà, di stenti, di miseria.
Recentemente la tempesta Vaia è arrivata in quella che la gente chiama (nel senso che a forza di parlarne e di pensarci e di piangerci su, proprio la chiama a gran voce) piena crisi economica. I boschi dopo Vaia hanno perso molta della loro ricchezza. La ricchezza della gente che abita la montagna, la vedi dal paesaggio, se c’è o non c’è. E non parlo solo di ricchezza materiale.
Quando la gente si impoverisce dentro, nel profondo, anche il paesaggio e la Natura rispondono di conseguenza. Adesso ci sono lupi e orsi e cinghiali in abbondanza su quelle montagne martoriate dalle tempeste; pare che la Natura si voglia riprendere il maltolto, o meglio, ciò che si è preso l’uomo senza averne il merito. A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha (ri-cit.).
Questo dovrebbe essere sinonimo di ricchezza, direbbe qualcuno; soprattutto chi professa la biodiversità come fulcro di stabilità ecologica e dice che la presenza dei grandi carnivori è di ottimo auspicio. Potrebbe essere così se l’essere umano fosse abbastanza evoluto da saper convivere con consapevolezza con la dimensione più selvaggia, ma, mi spiace; dal basso della mia poca conoscenza, debbo dire che di evoluto nell’essere umano medio di oggi, c’è ancora troppo poco. A tutte le quote; quel che sta succedendo non è di buon auspicio.
Per poter dire questo io guardo prima i boschi e poi la gente; la gente ha paura. La gente è spaventata e confusa, lontana dalla verità, lontana da se stessa. Persa. Ha paura di morire, di vivere. Ha paura del prossimo, della povertà. Ha paura di esistere. E in un mondo perso e confuso dal caos, dal timore, dalla diffidenza, beh… in un mondo creato su questi presupposti, alla Natura non rimane altro da fare che adeguarsi; se prende il sopravvento è solo per ristabilire gli equilibri; è sempre stato così.
Le foreste si stanno spogliando sotto raffiche tempestose anomale; gli animali selvatici si stanno riprendendo gli spazi. Le persone si fanno ricattare e vendono la propria salute perché hanno paura. Tutto torna. Ma le soluzioni ai tempi bui vanno letti guardando da un versante all’altro dei monti, non sugli articoli dei giornalucoli venduti al miglior offerente, o sugli schermi dove falsi profeti predicano soluzioni letali.
I boschi vennero tagliati per fare la guerra; oggi i boschi cadono da soli perché hanno capito che non c’è l’evoluzione umana necessaria per tenerli in piedi.
Oggi i boschi si rempiono di animali con le lunghe zanne perché hanno capito che è l’unico modo per difendersi dai tagli a raso e dalle fratte degli impianti di risalita. Dalle orde turistiche che si muovono con le moto fin sui passi d’alta quota, da chi non sa più fare due passi se non si fa portare da due ruote o da un impianto di risalita.
Io li osservo i boschi e li ascolto; li sento ululare di notte e sono come una carta di tarocco che sa predire il futuro.
Rispondi