Qualche tempo fa, oramai son passati anni, incontrai una Signora nei boschi e di primo mattino. Pensai fosse un fungaiola e invece no: lei raccoglieva erbe e viole. Ne mangiava tantissime, di viole. Ci ho ripensato in questi giorni, perché le viole fanno capolino un po’ ovunque.

Quella Signora si chiama Natalina ed è di origini italiane, ma vive da sempre in Inghilterra. All’epoca veniva in Trentino per farsi le ferie, o meglio, per far fare le ferie al marito che lavorava come un pazzo tutto l’anno e si prendeva poi tre mesi in estate per venire in Italia; ma lui era ammalato di lavoro, quindi le ferie non se le riusciva a godere per niente.
A differenza di Natalina che, invece, se le godeva, eccome, sempre a zonzo per i suoi boschi! Mi disse di chiamarla Nathy, che Natalina le è sempre sembrato un nome troppo lungo.

La prima volta la trovai seduta in mezzo a un prato, dove di solito io non ci trovavo mai nessuno, perché per arrivarci occorreva farsi una bella scarpinata, lontano com’era anche dalle strade forestali. È un prato torboso, circondato da stentati e piccoli abeti rossi e ai margini del bosco crescono le viole; gli abeti sono dei vecchi bonsai che si ostinano a vivere dove le condizioni per loro sono pessime, con le radici immerse nella torba.
Al centro dell’area prativa e torbosa c’è un occhio di torbiera, dove si riproducono ogni anno rane temporarie, rospi e tritoni. E io mi godevo l’osservazione dei vari passagi di vita e delle metamorfosi affascinanti di questi anfibi.
Quindi ci andavo spesso anch’io lì, perché in quei posti la Natura parla un linguaggio tutto particolare, per chi la sa ascoltare, e ci vivono esseri invisibili che solo chi sa credere alle favole, sa come sono fatti; ma noi umani ci siamo scordati come si fa a vederli. Io ogni tanto li vedo, con la coda dell’occhio, perché loro oramai sanno che non siamo più una specie molto affidabile e preferiscono starsene sulle loro, oppure scegliersi gli umani adatti, prima di rendersi riconoscibili.
Nathy, invece, li vedeva e ci parlava. Infatti spesso la trovavo che mormorava e rideva. Chiunque altro l’avrebbe presa per una pazza; io no, perché io sapevo cosa stava facendo. Il giorno che ci incontrammo le arrivai alle spalle e per non spaventarla feci un po’ di rumore con gli scarponi, ma lei mi aveva già sentita da un pezzo e mi fece cenno con la mano di venire avanti, senza girarsi a guardarmi. Accolse il mio cane scodinzolante con un perentorio “Sitz!”. E il cane si è messo subito giù, rivolto verso di lei, attento e in attesa di altri ordini. Non lo avevo mai visto comportarsi così.

MI avvicinai e mi presentai. Spiegai che ero la forestale di zona e lei mi sorrise e mi fece segno di sedermi accanto a lei sull’erba. Una bella donna di mezza età, davvero simpatica Nathy; ha occhi azzurri che sprizzano vitalità e un sorriso contagioso.
Chiunque dalle mie parti l’avrebbe definita un personaggio eccentrico; aveva sempre questo suo cappello di paglia tempestato di fiorellini colorati e fatti all’uncinetto, i capelli biondissimi e sempre sciolti e un po’ scarpigliati, e una lunga camicia a fiori sgargianti che le scendeva fino alle ginocchia. Però indossava anche pantaloni tecnici, aveva ai piedi degli ottimi scarponi e accanto uno zaino che poi scoprii essere sempre ben rifornito. Non era una sprovveduta, Nathy, e sapeva il fatto suo.

Le piaceva intagliarsi i bastoni che usava per andar per boschi e in questo eravamo simili. Mi regalò un bellissimo coltellino a serramanico con l’impugnatura in madreperla. Per me un regalo meraviglioso, neanche a dirlo!! Lo conservo come una reliquia.
L’accento inglese è molto marcato, ma si fa capire bene, perché la grammatica del suo italiano è perfetta. MI disse che aveva imparato l’Italiano guardando i film sottotitolati; anche solo per questo provai grande ammirazione. Ma lei mi disse anche che la nonna in casa parlava italiano, quindi lei la lingua ce l’aveva già nella testa. Quel giorno, rimanemmo per un po’ a chiacchierare, lì sedute fra le viole ed i ranocchi che saltellavano verso il piccolo stagno.

Non mi ricordo come fu che il discorso cadde sull’argomento; forse lei mi chiese esplicitamente quali erano i miei sogni e che cosa desideravo davvero dalla vita. Non seppi risponderle e questo mi lasciò un po’ di stupore e anche un senso di smarrimento.
Mi ricordo che mi disse questa frase:“Tutti dovrebbero vivere con un forte desiderio nel cuore! Un desiderio che ti muove e ti dà una direzione nella vita, in modo che tu sai sempre quale strada devi prendere!” Nathy aveva ragione, ma io lo capii davvero solo anni dopo, quando comiciai a rendermi conto che io ero anche altro, rispetto a quello che tutti mi rimandavano come uno specchio e che io credevo di essere.

All’epoca, un desiderio vero che mi portasse lontano… io non ce l’avevo più, da molto tempo. Nathy parlava di quei desideri che hanno anche i bambini; dei desideri puri e liberi da costrutti mentali. Mi ero fatta assorbire dalla routine di un lavoro che amavo, ma di cui detestavo il contesto umano che lo caratterizzava e dal quale avevo trovato il modo di tenermi relativamente lontana, sprecando fin troppe energie. E così, concentrata com’ero a difendermi dal mondo, i miei desideri veri, li avevo dimenticati.
Fu Nathy a rimettermi i pennelli e i colori in mano e a spronarmi a dipingere e a scrivere. Fu quella fata dei fiori che magiava viole in una mattina di fine aprile a ricordarmi che io non ero la divisa che portavo e tantomeno ero le maschere che portavo quando mi relazionavo con il mondo.

Mi disse che i boschi non richiedono maschere, e nessuno più di me sapeva quanto fosse vero! Io e lei lo sapevamo bene! Lei camminava scalza nell’erba, ogni tanto. Si toglieva gli scarponi e se li legava allo zaino. Lo faceva quando era sicura del suolo,di quello che ci avrebbe trovato. Lo faceva sempre quando raccoglieva le viole. E intanto sorrideva, come se stesse ringraziando per ogni viola che si faceva cogliere e che lei si metteva in bocca.
La rividi spesso e diventammo amiche, ma non ci davamo mai appuntamento, nemmeno da un anno all’altro; non ci piacevano gli orari e le promesse. Ci piaceva girare per boschi e parlare di cose belle, a tutt’e due, e fine. A volte la trovavo all’alba, già appostata in uno dei prati che conoscevamo entrambe, con il suo libro aperto e la sua cesta già piena di erbe e di fiori.

Io non ho mai capito come facesse ad essere già sul posto a quelle ore, con il raccolto già fatto… per arrivare lassù a quell’ora doveva per forza camminare al buio, altrimenti non c’era altro modo. A meno che non ci dormisse, nei boschi… ma non gliel’ho mai chiesto, perché se me lo avesse voluto dire, lo avrebbe già fatto. Lei mi disse che il Sole andava salutato prima che lo facesse l’erba; tutto qui.
E io imparai da lei a fare queste cose; lo faccio ancora, per questo ho imparato ad alzarmi all’alba e negli ultimi anni non faccio nemmeno più nessuna fatica, mentre prima, io dormivo fino a mezzogiorno, se potevo. Avevo bisogno di dimenticarmi del mondo che non amavo e dormire era il modo più efficace che conoscevo; poi imparai a darmi alla macchia e ho scoperto che c’è un mondo meraviglioso da scoprire. E cominciai ad esplorare.

Ho perso un mucchio di albe, un sacco di Bellezza, dormendo troppo. Nathy adesso vive con la figlia, lì in Inghilterra e ogni tanto ci scriviamo, a mano, ovviamente. Lei mi manda i fiori secchi che raccoglie nel suo giardino, le rose, i gelsomini, e che poi infila nei suoli libri e mi manda per posta quando sono secchi… e io faccio altrettanto con i fiori che raccolgo nei boschi.
Adesso vivo lontana da quei prati dove ci siamo conosciute, ma in primavera ci ritorno, per raccogliere le viole e per mandarle a Nathy. Adesso lei ha 98 anni, ma scrive come se ne avesse 20 e quando leggo le sue lettere, rivedo il suo sorriso e i suoi occhi azzurri che mi hanno ricordato quanto è importante coltivarsi dei desideri nella vita, per non spegnersi mai, per avere l’energia giusta, anche nei momenti peggiori.

E a Nathy non dirò mai grazie abbastanza, per tutto quello che mi ha insegnato sui boschi e sulla vita, e perché questa cosa che lei mi ha detto in merito all’importanza di continuare a desiderare, è il segreto più grande che mi porto sempre nel cuore. A volte poche parole possono fare la differenza. E per me, le parole di Nathy l’hanno sempre fatta, eccome!!
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