ASCOLTA IL PODCAST (l’audio ripropone il testo, ma non fedelmente, bensì con aggiunte libere)
Voi mi direte che “non ne so nulla di musica giapponese”; e ne avreste ben donde. Io non ne so niente, ma sono incappata in questo pezzo sul tubo e beh… mi ha ipnotizzata.
Me ne stavo a fremere angosciata fra una preoccupazione festaiola semiseria e l’altra, quando senza pensarci ho cliccato sul play del video e il mondo per una buona mezz’oretta mi è cambiato, completamente, metamorfosato, direbbe Ovidio 🤣 – 😉 .
MI ha catapultata sulla cima di una montagna, fra nebbioline rade che si muovevano sospinte da una brezza leggera che sale lenta dalle vallecole ricoperte da una lussureggiante vegetazione. Nell’aria l’odore dell’aria; solo aria, ma fresca, buona, pulita e che mi entrava nei polmoni aprendoli completamente. E io lì, in piedi a guardare lontano, altre vette, altre cime, forse immersa in pensieri di viaggio, di quelli che si fanno quando si deve andare ben al di là delle solite preoccupazioni quotidiane.

E con la musica in sottofondo, mi son ritrovata immersa in una luce tenue che filtrava fra la nebbia color cenere e portava minuscoli pulviscoli di pioggia cristallina. Freddo? No, per niente, eppure l’umidità si solidificava sui capelli, sulle mie ciglia e sulle sopracciglia e cristalli di neve cominciavano a scendere radi e lenti. Poi la musica è rimasta sospesa, come quando un Samurai taglia di netto la testa dell’avversario, ma questa prima di cadere aspetta alcuni secondi. Non è sadismo; è che son cresciuta guardando un telefilm che nessuno ricorderà nemmeno più e che aveva queste scene madri ogni tre o quattro puntate.

Ero lì in attesa che la testa cadesse e che il flauto ricominciasse a suonare. E infatti ricomincia, come il vento che passa fra le fronde dei rami; che a volte sembra vicinissimo e a volte si allontana, per poi tornare. E avevo l’impressione che volesse giocare, come fanno i cuccioli quando si allontanano e ti guardano come per invitarti a seguirli, con le zampe anteriori abbassate al suolo e la parte posteriore alta e la coda scodinzolante. E tu non resisti, è ovvio; tu giochi, come fai con il vento.

Celestino, detto Sandokan.
Poi hanno bussato alla porta e purtroppo son dovuta rinsavire; era il gatto che ha imparato a sbattere il batacchio, visto che non ho voluto mettere citofoni e campanelli, perché i suoni elettrici, sgradevoli e improvvisi, mi infastidiscono. Un batacchio mi permette di aprire la porta agli ospiti senza avere sulla faccia l’espressione di chi è contrariata per aver appena sentito il suono sgradevole di un campanello elettrico. Così apro al solito assonnata, trasognata, un po’ confusa, magari, ma non contrariata. È già qualcosa. Preferisco comunque le visite ben programmate e con largo anticipo, ecco.
Il mio gatto è l’unico ospite che può fare un po’ come gli pare ed è sempre il benvenuto; io lo so che lui è grato di poter entrare bussando educatamente come un vero Lord, anche se fa di tutto per non darlo a vedere. Lui bussa, aspetta, io apro e lui entra indifferente, lento, elegante, con la coda alzata a punto di domanda, come a dire: “Mi ha cercato qualcuno mentre non c’ero?”. Io sono il suo maggiordomo; questo si capisce. Anche lui poi si è messo comodamente sulla poltrona accanto alla stufa, ad ascoltare il flauto giapponese, apprezzando assorto e attento, ho visto. Non fuma il sigaro e non beve gin; per il resto è un vero Lord.

Lui sulla poltrona e io sulle note del flauto; son tornata sulle montagne sconosciute a guardare lontano fra la nebbia rada, con la neve ghiacciata che scendeva sempre più fitta, ma il freddo, io, non lo sentivo nemmeno. Avevo lunghi e folti capelli neri al vento, senza chiedermi quando avevo cambiato tinta e quando mi erano cresciuti tanto; ero una donna samurai con la mano sull’elsa della spada, oramai. 🤣
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