Gold Fisch – G.Klimt – dettaglio del quadro
La fiaba è tratta dal libro di Aleksandr Afanas’ev, “Fiabe Russe”. Afanas’ev è l’equivalente dei Fratelli Grimm per la Russia e nella stessa epoca, ovvero nel 1832 fece un’importante raccolta delle fiabe tradizionali per quanto riguarda il suo paese d’origine e le pubblicò, salvando così un inestimabile patrimonio di cultura popolare. Io amo moltissimo Italo Calvino, come ho già avuto modo di dire, ma in fatto di fiabe, confesso di avere un debole particolare per quelle russe.
Esiste una magia particolare in questi racconti e se anche nelle fiabe di provenienza tedesca e italiana si trova un gusto che ovviamente cattura l’attenzione e stimola la fantasia, in quelle di origine russa è ancor più palpabile il senso del magico e del mistero, forse dovuto alle ambientazioni, o al modo di raccontarle, non saprei dire. Questa è una mia personalissima opinione e non vuole certo essere la regola.

Foto web
Il pesciolino d’oro è una fiaba che ha come tematica di fondo “il desiderio”, o meglio, la capacità di saper desiderare; sì, perché ciò che viene chiesto al vecchio quando pesca il pesciolino nella rete, è unicamente la capacità di esprimere un desiderio. Il vecchio dimostra per tutto il tempo della fiaba di non essere minimamente in grado di sfruttare le immense opportunità che gli vengono offerte a ripetizione. Sono i classici treni che nella vita vengono persi, senza rendersi nemmeno conto che stanno passando, o che sono già passati.
Non so se vi è mai successo di avere un rimorso o un rimpianto a causa di un’occasione persa, o se proprio ora, ripensando al passato, vi viene in mente un fatto che poteva essere una grande opportunità per voi, ma che per un motivo o per l’altro, non avete saputo vedere come tale e avete lasciato correre, senza saper cogliere quell’attimo irripetibile! Son cose che capitano un po’ a tutti, penso. Almeno, a me è successo di sicuro.
Il vecchio è il prototipo della persona senza immaginazione e in quanto tale, di chi “non sa vedere” il potere che gli viene donato dalla vita; lui si limita a fare da messaggero fra la vecchia moglie despota e la potenziale fonte della sua fortuna, ovvero il pesciolino d’oro, ma non è in grado di esprimere un desiderio che vada oltre alla sua misera condizione di povero pescatore.
I personaggi principali di questa storia sono però tre e oltre al vecchio che si comporta come chi non sa sfruttare alcuna opportunità, perché privo di immaginazione, oltre al pesciolino d’oro che rappresenta la fortuna, il momento favorevole e, in questo caso, reiterato più volte che la vita può regalare, c’è anche la vecchia, una figura completamente diversa dal vecchio.

Lei, la vecchia moglie, incarna quella che i greci definirebbero tracotanza, o arroganza, o hubris. L’hubris per i greci era l’esagerazione, l’eccesso, lo squilibrio nel volere ciò che va oltre il dovuto; in poche parole, l’hubris si avvicina molto al caos che va ripristinato. E a ripristinare l’hubris espresso dalla vecchia, infatti, ci pensa il pesciolino d’oro, che riporta la situazione allo stato originario alla fine della fiaba.

Izba russa – foto web
In questo modo il vecchio viene punito per non aver saputo sfruttare le opportunità, o “i talenti”, come viene detto in una famosa parabola biblica che, in sostanza, manda lo stesso messaggio che narra questa fiaba. Durante tutta la la narrazione, il vecchio rifiuta senza rendersene conto, i doni che gli vengono offerti dal fato, mentre la vecchia viene punita per la sua hubris, per la sua incapacità di darsi un freno e un equilibrio.

Illustrazioni di Nikifor Rashektaev per Il pesce d’oro, di Alexander Pushkin, 1976,
In entrambi i casi si tratta di “peccati gravi”, di mancanze che non possono essere perdonate, perché non saper mettere a frutto l’immaginazione e i doni che la vita offre gratuitamente, per migliorare se stessi e la propria condizione, è un peccato altrettanto grave quanto quello di essere eccessivi ed arroganti nel chiedere ciò che non ci spetta e che, di conseguenza, non siamo pronti a ricevere.

Paul Klee – Il pesce d’oro
In entrambi i casi, per rimediare a queste gravi mancanze occorre prima conoscere bene se stessi e i limiti che ci sono propri. Il vecchio non sa assolutamente nulla di se stesso, perché non sa nemmeno di che cosa ha veramente bisogno, mentre la vecchia non sa nulla di se stessa, perché non conosce i propri limiti e pensa di avere il diritto di chiedere cose che vanno ben oltre a ciò che lei stessa sa gestire.IN entrambi i casi, il risultato sarà dei peggiori.
La vecchia è ritornata povera perché è andata oltre a ciò che poteva essere nella logica, oltre a ciò che può essere concesso ad un essere umano, sconfinando in richieste e in ambiti che sono propri solo degli dei. Questo tipo di richieste non è possibile, perché la vita offre ad ognuno esattamente ciò che merita, non un grammo in più e non un grammo in meno. E infatti il vecchio, di contro, per tutta la narrazione non ha ricevuto altro che frustate e insulti, esattamente come viene fatto con un servo, pur essendo il marito della donna più ricca della Russia, perché non ha saputo mettere a frutto la propria immaginazione e meritarsi di meglio che essere trattato da schiavo.

Lo schiavo morente – Michelangelo Buonarroti – Museo T.S. Omero Ancona
La cosa drammatica di tutto questo è che lui non se n’è mai accorto, di questo, nemmeno quando la moglie glielo dice apertamente e senza mezzi termini:” Ah tu, vecchio cane imbecille! Non sei capace di servirti della fortuna!” Il dramma in questa fiaba sta tutto qui: il vecchio ritorna dal pesciolino d’oro per ben cinque volte, ed ogni volta perde l’immensa occasione di riscattare se stesso, e perché? Perché manca di immaginazione e pecca di eccesso di umiltà.
Adesso, non vogliatemene, ma penso che alla maggior parte di noi, all’inizio di questa fiaba, quando il vecchio rilasciò il pesciolino d’oro senza chiedere nulla in cambio, sia passato per la mente questo pensiero:” Ma che bravo questo vecchio, che lascia andare il pesciolino senza chiedergli nulla!” E’ un pensiero buonista tipico di una cultura cattolico-cristiana.
E’ vero, o no? È così! È un po’ come avere in mano il biglietto vincente della lotteria e buttarlo in mare perché “pensiamo che in fin dei conti si sta bene anche così”. Si chiama disistima di se stessi, o consapevolezza fuorviante, magari inculcata da una cultura che ci ha insegnato ad essere poveri e umili, perché così arriveremo “nel regno dei cieli”! 😀 😀 La ricordate, no? La storia del cammello che passa dalla cruna di un ago?! 😀 😀 Come dire che non ci meritiamo di meglio di ciò che stiamo vivendo; come dire che non conviene immaginare cose che non ci meritiamo, perché poi magari, se diventiamo ricchi e felici, finiamo tutti all’inferno! 😀 😀
Avere un’immaginazione, una visione di un’esistenza che oggi, magari nemmeno ci piace tanto, ma che fatichiamo a immaginare diversa, perché non ci abbiamo mai pensato seriamente, perché ci hanno sempre detto che tanto non è possibile cambiare l’inevitabile avverarsi della nostra condizione di miseri servi. Perché ci hanno detto che “siamo al mondo per soffrire”!

Al Capone Alphonse Gabriel, ricco, mafioso e cattivo.
Perché ci hanno sempre detto che “i ricchi sono sporchi e cattivi, mentre i poveri vedranno il regno dei cieli”; però chi ce lo ha detto possiede il patrimonio immobiliare più esteso e ricco di tutto il pianeta… e forse questo fatto, un piccolo dubbio ce lo dovrebbe fare venire… vabbeh, ma non andiamo troppo nel dettaglio. Pensare in questo modo, pensare come ci hanno sempre insegnato a fare, equivale a pensare esattamente come fa il vecchio nella fiaba. Il vecchio che non sa immaginare, il vecchio che si limita a subire come un servo, facendo il lavoro più umile, facendosi frustare se quel misero lavoro non lo fa bene.

Paperon de Paperoni, ricchissimo con la sua Numero 1
Perché per chi non ci è abituato, immaginare qualche cosa di grande costa fatica… più di quanta si pensi. L’esatto opposto è rappresentato dalla vecchia, ovvero da chi è ben consapevole della fortuna che le è capitata per le mani, ma non la sa gestire. Il biglietto vincente viene sfruttato per esaudire dei desideri sempre più grandi, fino a immaginare l’impossibile, l’assurdo, l’irrealizzabile; e qui, è il destino stesso che la ferma e rimette le cose a posto, facendo svanire tutto il ben di Dio che si era immaginata.
E’ tipico di chi la lotteria la vince veramente e, spesso, finisce malissimo nel giro di poco tempo, perché anche per saper godere della fortuna, occorre essere capaci e pronti e questo pochi lo sanno fare. Anche qui è una questione di allenamento dell’immaginazione e del buon senso, dell’equilibrio emotivo, oltre che mentale, innanzitutto.
Mai come in questa fiaba, si potrebbe dire che la morale ridotta ai minimi termini e banalizzata fino all’osso è: la giusta via sta nel mezzo.
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