MI sveglio spesso con la sensazione di avere poco tempo a disposizione per fare tutto quello che dovrei fare; non parlo di impegni quotidiani dettati dalla routine imposta dalla macchina infernale e delirante dei sistemi disumani. Quello mi succedeva un tempo; ora non più. No, io parlo di quella componente ancora umana che forse in me si è salvata dalla mediocrità; non posso essere certa che questo sia ancora vero, perché io, come tutti, sono stata sottoposta al trattamento di devianza emotiva, che mi ha portato a uno scardinamento delle mie innumerevoli personalità, (no, non soffro di personalità multiple… è che come disse Pirandello, tutti abbiamo altri noi stessi che ci fanno compagnia) innalzando alcune di esse a ruoli di importanza falsamente vitale, mentre altre sono state umiliate gratuitamente e messe al bando.
Come dite? A voi questo trattamento non è stato fatto? Beh, buon per voi, ma io mi coltivo il dubbio che questa sia una condizione piuttosto diffusa, solo che per qualche inspiegabile motivo, alcuni se ne rendono conto, altri meno. Forse è una questione di distrazioni, o di concentrazione.
In tutto questo, ciò che ha perso punti è la mia parte a-personale; quella componente che fluttua nel profondo in cerca di spazio ed espressione libera dalle maschere. Quella parte che necessita di aria e luce e che troppo spesso viene relegata in angoli bui ed asfittici. Finché questa è la sua condizione, io non sono felice, perché manco di equilibrio, di aria e di luce. È una condizione universalmente diffusa, questa, ma non è scontato rendersene conto, perché la parte di noi più importante è fin troppo discreta e spesso si nasconde bene ai nostri occhi (a meno che non la osservo con occhi interiori, fino a riuscire a vederla); o meglio, la mia personalità più forte le impedisce di emergere e di farsi conoscere.

Allora come si fa? Una strada efficace è quella di ricordarmi che il tempo è limitato, che la Morte è dietro l’angolo, sempre e per tutti. Questo smuove in me qualche cosa di profondo; la paura di morire non è nulla di fronte alla consapevolezza di essere arrivata alla fine del giro di giostra e aver vissuto invano, senza aver combinato nulla di serio e non avere più il tempo per rimediare.
Immedesimarmi in un potenziale e imminente stato di moribonda mi aiuta a svegliarmi. Se si sa questo, allora si smette di pensare che si potrebbero fare delle cose e si comincia a farle. Sembra una banalità, ma in fin dei conti, quello che distingue un essere umano pensante da un grande essere umano pensante, è l’azione… o meglio ancora: il prodotto dell’azione. E tocca imparare, perché non è necessario essere dei miti o degli eroi, ma almeno è buona cosa provare a vivere da persone vive e non da zombie morti prima di arrivare alla fossa. Questo è il mio obiettivo primo, poi se riesco a fare anche di meglio, tanto riguadagnato.
I guru dell’esoterismo spirituale dicono che ogni processo iniziatico passa dalla morte (recitata) dell’individuo, ovvero dalla morte della personalità dell’individuo, ovvero (ancora) da quella parte di noi che cazzeggia dalla mattina alla sera distraendosi con il nulla ed evitando di realizzare ciò che dovremmo realizzare prima che il tempo presenti il conto e il tutto si traduca oramai in due parole lapidarie: “troppo tardi”.
Ci sono mille modi per ingannare noi stessi: il perfezionismo è uno di questi. Si procrastina in nome di una ricerca di perfezione che ha l’unico scopo di allontanarci dalla realizzazione finale del nostro progetto. Non è necessario votarsi al pressapochismo, ma ciò che si deve fare può essere fatto passando per errori e imperfezioni; questo non significa votarsi alla sciatteria e alla mediocrità, purché non si scada nell’estremo opposto, ovvero la ricerca dell’impossibile. Perché l’impossibile è per definizione irrealizzabile. Meglio aver combinato poco e più oi meno bene, che non aver mai combinato una cippa! Poi col tempo e facendo, si migliora, questo è pacifico.
Quel che deve essere fatto va scelto fra il possibile; anche questa è una regola. E ciò che è possibile va di pari passo con la nostra preparazione, con il maturare delle nostre competenze ed esperienze e queste, a loro volta, crescono realizzando, non procrastinando in nome della perfezione. In sintesi: si matura sbagliando nell’azione, non nel pensiero di prepararsi ad agire. Lo dico perché io sono una di quelle che farebbe sempre così; domani, domani, domani… e poi domani diventa mai, come dice una vecchia canzone.

Ci sono altri modi per prendere in giro noi stessi, per evitarci l’impegno fondamentale di realizzare quello che ci è richiesto nella nostra personale e breve comparsata in questa dimensione effimera dove siamo perennemente in bilico, ma non posso tediare oltre chi è già stanco di leggere (se per caso qualcuno ha avuto il coraggio e il buon cuore di leggere fin qui).Semmai se ne parlerà altrove; in questo frangente qualcosa mi dice che devo dedicarmi a certe cose che voglio fare prima che faccia notte 😉 .
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