ASCOLTA IL PODCAST DI STORIE SELVATICHE
Qualche tempo fa pubblicai un post che intendeva analizzare una fiaba contenuta nella raccolta “Fiabe Italiane” di Italo Calvino. Ripubblico qui il post del 18 febbraio 2015 (penso fosse profetica la scelta, visto quello che che è successo dopo), perché vorrei ripartire da dove avevo lasciato, per continuare a occuparmi di quel progetto che per me è molto importante e che aveva, ed ha, l’intento di approfondire il mondo magico delle fiabe.
E’ una questione importante questa delle fiabe, perché sono un genere di “letteratura”, se così si può definire (un tempo le fiabe venivano tramandate solo oralmente), che tocca in modo profondo il subconscio di noi tutti; saper “leggere” una fiaba, significa sapersi guardare dentro e l’effetto terapeutico è ovviamente impagabile e non costa nemmeno tanto, se non l’impegno di mettersi lì e ascoltare con la predisposizione d’animo tipica dei bambini.
Per noi adulti mi rendo conto che questo è un compito arduo, visto che siamo condizionati da fardelli educativi e sovrastrutture culturali fuorvianti, ma con un po’ d’impegno, ce la possiamo fare. Magari, se proprio vediamo che non ci arriviamo, ci possiamo far aiutare dai più piccoli. 😉

Illustrazione di Daniele Davitti – Mostri poliedrici
Da:Fiabe italiane di Italo Calvino
C’era una volta un ragazzetto chiamato Giovannin senza paura, perché non aveva paura di niente. Girava per il mondo e capitò a una locanda a chiedere alloggio.
– Qui posto non ce n’è, – disse il padrone, – ma se non hai paura ti mando in un palazzo.
– Perché dovrei aver paura?
– Perché ci si sente, e nessuno ne è potuto uscire altro che morto. La mattina ci va la Compagnia con la bara a prendere chi ha avuto il coraggio di passarci la notte.
Figuratevi Giovannino! Si portò un lume, una bottiglia e una salsiccia, e andò. A mezzanotte mangiava seduto a tavola, quando dalla cappa del camino sentì una voce: – Butto?
E Giovannino rispose: – E butta!
Dal camino cascò giù una gamba d’uomo. Giovannino bevve un bicchier di vino.
Poi la voce disse ancora: – Butto?
E Giovannino: – E butta! – e venne giù un’altra gamba. Giovannino addentò la salsiccia.
– Butto?
– E butta! – e viene giù un braccio. Giovannino si mise a fischiettare. – Butto? – E butta! – un altro braccio.
– Butto?
– Butta! E cascò un busto che si riappiccicò alle gambe e alle braccia, e restò un uomo in piedi senza testa.
– Butto?
– Butta! Cascò la testa e saltò in cima al busto. Era un omone gigantesco, e Giovannino alzò il bicchiere e disse: – Alla salute!
L’omone disse: – Piglia il lume e vieni.
Giovannino prese il lume ma non si mosse.
– Passa avanti! – disse l’uomo.
Passa tu, – disse Giovannino.
– Tu! – disse l’uomo.
– Tu!- Disse Giovannino.
Allora l’uomo passò lui e una stanza dopo l’altra traversò il palazzo, con Giovannino dietro che faceva lume. In un sottoscala c’era una porticina.
– Apri! – disse l’uomo a Giovannino.
E Giovannino: – Apri tu!
E l’uomo aperse con una spallata. C’era una scaletta a chiocciola.
– Scendi, – disse l’uomo.
– Scendi prima tu, – disse Giovannino.
Scesero in un sotterraneo, e l’uomo indicò una lastra in terra.
– Alzala!
– Alzala tu! – disse Giovannino, e l’uomo la sollevò come fosse stata una pietruzza. Sotto c’erano tre marmitte d’oro.
– Portale su! – disse l’uomo.
– Portale su tu! – disse Giovannino.
E l’uomo se le portò su una per volta.
Quando furono di nuovo nella sala del camino, l’uomo disse: – Giovannino, l’incanto è rotto! – Gli si staccò una gamba e scalciò via, su per il camino. – Di queste marmitte una è per te, – e gli si staccò un braccio e s’arrampicò per il camino. – Un’altra è per la Compagnia che ti verrà a prendere credendoti morto, – e gli si staccò anche l’altro braccio e inseguì il primo. – La terza è per il primo povero che passa, – gli si staccò l’altra gamba e rimase seduto per terra. – Il palazzo tienitelo pure tu, – e gli si staccò il busto e rimase solo la testa posata in terra. – Perché dei padroni di questo palazzo, è perduta per sempre ormai la stirpe, – e la testa si sollevò e salì per la cappa del camino.
Appena schiarì il cielo, si sentì un canto: Miserere mei, miserere mei, ed era la Compagnia con la bara che veniva a prendere Giovannino morto. E lo vedono alla finestra che fumava la pipa.
Giovannin senza paura con quelle monete d’oro fu ricco e abitò felice nel palazzo. Finché un giorno non gli successe che, voltandosi, vide la sua ombra e se ne spaventò tanto che morì.
Dal blog “Il mio tributo alla bellezza”
Provo ad analizzare questa bella fiaba, secondo il mio “sentire”. La magia delle fiabe sta in ciò che la mente può percepire fra una parola detta e l’altra. E’ un po’ un cercare il non detto, ovvero ciò che ci colpisce nel profondo, senza però rivelarsi troppo.
Giovannin senza paura è una fiaba popolare antica e verrebbe da dire subito che già nel titolo arriva dritta al nocciolo della questione: la paura dominata dal coraggio del protagonista. E non si parla di una paura qualsiasi, ma della paura peggiore, la paura dell’ignoto, ovvero della morte.
Ora, proviamo a immedesimarci in un bambino che sta ascoltando la storia dalla voce di una adulto, seduto magari di fronte ad un camino, o alla luce rassicurante di una lampada e accoccolato al sicuro all’interno della propria casa.
Il racconto si svolge nell’arco di una notte e Giovannino si trova in un posto a lui sconosciuto e che nasconde mille incognite. La notte nasconde ciò che non si conosce, ciò che si teme perché non è reso visibile dalla luce.
Proviamo a immaginarci la voce del narratore che recita le parole della fiaba, proviamo a sentire il ritmo simile ad una filastrocca che cadenza il narrare, il botta e risposta fra Giovannino e un essere che arriva da quel camino che funge da collegamento con il contesto sicuro dell’interno di una casa e l’esterno oscuro e notturno.
Dal camino esce ciò che non si conosce, ciò che fa paura. Giovannino accoglie con coraggio quell’essere spaventoso che si presenta smembrato ed attende con calma, mangiando e bevendo, quindi facendosi più forte, che ogni pezzo di quello strano essere vada al suo posto e che si riveli nella sua interezza, per poterlo osservare per quello che realmente è e rapportarsi con lui.
Sostanzialmente Giovannino attende di conoscere tutti gli elementi prima di agire. E quando l’omone ormai visibile in tutta la sua interezza tenta di intimidirlo dandogli degli ordini, lui continua a reagire con sicurezza, rispondendogli a tono, per nulla impressionato dalla situazione. Giovannino continua a tenere la situazione sotto controllo, è sicuro di se e non si fa intimidire.
Utilizza il lume per vederci meglio, per rischiarare quella notte che non gli permette di vedere le cose per quelle che realmente sono, per conoscere a fondo la situazione e per non commettere passi falsi. Si addentra nei luoghi che l’omone gli indica, ma facendosi precedere, quindi agisce, ma con cautela, con la dovuta prudenza.
E questo suo modo di affrontare la situazione lo porta alla ricompensa delle tre pentole d’oro. L’omone quindi non ha più motivo di essere, perché Giovannino ha fatto cadere l’incantesimo. La paura alimentava l’incantesimo.
E così come era arrivato, pezzo dopo pezzo, l’omone svanisce attraverso il camino, venendo risucchiato da quell’ignoto non più spaventoso, perché ormai sconfitto dalla conoscenza acquisita da Giovannino. Quando la Compagnia viene a voler prendere il morto, Giovannino si affaccia senza timore alla finestra e accoglie il giorno.
Si affaccia verso l’esterno e forte delle ricchezze acquisite durante la notte, si fuma beatamente la pipa, proprio come forse fa un nonno o un papà, quindi una persona adulta, dopo aver raccontato una bella fiaba al suo nipotino o al suo bambino.
Giovannino è diventato una persona adulta perché è stato prudente, coraggioso, abbastanza calmo e sicuro di se, da saper sconfiggere la paura di ciò che non conosceva.
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