MI succede di trovare qualcosa che mi incuriosisce nello sconfinato mondo del web; a volte ci sono diverse versioni di una stessa canzone e la cosa curiosa è che per diversi motivi, tutte sono estremamente interessanti, per una motivo o per un altro. La canzone di cui sto parlando è Big Rock Candy Mountain e la trovate in centinaia di versioni e praticamente mezzo mondo (esagero) ne ha fatto la cover. Il testo tradotto in italiano è questo.
Una sera mentre il sole tramontava |
E i fuochi della giungla stavano bruciando, |
Lungo il sentiero è arrivato un vagabondo che fa un’escursione, |
E lui ha detto: «Ragazzi, non mi giro |
Sono diretto verso una terra lontana |
Oltre alle fontane di cristallo |
Quindi vieni con me, andiamo a vedere |
Le Grandi Montagne Rocciose |
Nelle Big Rock Candy Mountains, |
C’è una terra bella e luminosa, |
Dove crescono le dispense sui cespugli |
E dormi fuori ogni notte. |
Dove i vagoni merci sono tutti vuoti |
E il sole splende ogni giorno |
E gli uccelli e le api |
E gli alberi di sigaretta |
La limonata sgorga |
Dove canta l’uccello azzurro |
Nelle Big Rock Candy Mountains. |
Nelle Big Rock Candy Mountains |
Tutti i poliziotti hanno le gambe di legno |
E i bulldog hanno tutti i denti di gomma |
E le galline depongono le uova alla coque |
Gli alberi dei contadini sono pieni di frutta |
E i granai sono pieni di fieno |
Oh, devo andare |
Dove non c’è neve |
Dove non cade la pioggia |
I venti non soffiano |
Nelle Big Rock Candy Mountains. |
Nelle Big Rock Candy Mountains |
Non cambi mai i calzini |
E i piccoli rivoli di alcool |
Viene gocciolando giù per le rocce |
I frenatori devono alzare il cappello |
E i tori ferroviari sono ciechi |
C’è un lago di stufato |
E anche di whisky |
Puoi pagaiare tutto intorno |
In una grande canoa |
Nelle Big Rock Candy Mountains |
Nelle Big Rock Candy Mountains, |
Le carceri sono fatte di latta. |
E puoi uscire di nuovo, |
Non appena sei dentro. |
Non ci sono pale a manico corto, |
Niente asce, seghe o picconi, |
Sono obbligato a rimanere |
dove dormi tutto il giorno, |
Dove hanno appeso il coglione |
Che ha inventato il lavoro |
Nelle Big Rock Candy Mountains. |
È uno standard interpretato da tutti i maggiori artisti folk e country americani. Nel primo video la canzone è cantata da Burl Ives dell’album Funny Waye e in America è famosissima. La cantano praticamente tutti a tutte le feste di paese :D. Un po’ come la canzone di “Marina” nelle feste campestri in Italia. 😀 La versione originale è però di Harry McClintock. Fa parte anche della colonna sonora del magnifico film “O Brother, Where Art Thou?” diretto nel 2000 dai fratelli Joel ed Ethan Coen.
Attribuita ad “Haywire Mac”, l’hobo name di Harry Kirby McClintock (1882-1957), cantante e poeta originario del Tennessee, che affermava di averla composta nel 1895 e che la incise nel 1928. Non è roba recentissima, insomma, e se ci fate caso, risale agli anni della Grande Depressione. Ecco perché se leggete bene il testo, vi risuonerà benissimo anche oggi.
La gente scappa da sempre e in tutto il mondo da situazioni a dir poco “scomode” per cercare lidi migliori dove potersi ricostruire una vita e ne sappiamo qualcosa anche noi italiani; personalmente ho diversi amici e conoscenti che negli ultimi tre anni sono emigrati in Spagna, in Brasile, in Russia. Per non parlare dei ragazzi che da decenni se ne vanno ovunque, pur di poter lavorare in modo quasi dignitoso.
Quando il gioco si fa duro, ci sono due modi per giocarlo; o provi ad uscire dalla scacchiera (e non è detto che ci riesci) o ragioni sulla mossa successiva da fare a partire dalla posizione dove ti trovi. Ma certo è che la voglia di andarsene via in cerca di un ipotetico “paese della cuccagna”, è forte.
Il pezzo forte, però, in termini di animazione, secondo me, è il seguente; lo trovo davvero inquietante e nel contempo bello nella sua complessità e per l’uso della grafica, del disegno e dei colori. Inquietante come la situazione che stiamo vivendo, al di là della canzone in apparenza “leggera”. Ragionare su queste cose, aiuta, a mio umile parere. A fare cosa? A prendere coscienza, consapevolezza, ce ne dovesse essere ancora bisogno… e mi sa che sì, ce n’è un gran bisogno! E il passato, per chi si ricorda di guardarlo con occhi un po’ più attenti, sta lì per insegnarci qualcosa! In teoria…
Durante la Seconda Guerra Mondiale, le popolazioni germanofone italiane del nord Italia vennero invitate a lasciare il paese per trasferirsi in Baviera, Polonia, Cecoslovacchia e nei paesi occupati dai nazisti; serviva gente di origine tedesca per ripopolare le aree rurali occupate, in virtù del principio di preservazione della razza. La gente che optò per la partenza negli anni 40, se ne andò dall’Italia perché grazie alla Grande Guerra 15-18 si erano impoveriti più di quanto già erano prima, sia di cose materiali, ma soprattutto di vite umane. Non penso che la maggior parte partì per convinzione ideologica, anche se la propaganda, allora come oggi, aveva fatto un buon lavoro.
Per portarli nei territori del Terzo Reich vennero caricati sui treni dopo essere stati riempiti di grandi promesse e portati in paesi stranieri, in poderi dove ai legittimi proprietari erano state espropriate case e terreni. E di canzoni popolari ne abbiamo anche noi italiani, ma non piacciono più a nessuno, che sono tristi, poco rock, poco americane e non fanno più tendenza. Soprattutto hanno la pecca che se si ascoltano i testi, fanno ricordare e magari qualcuno capisce di avere la testa più bacata di quanto pensa.
Chissà che clima di accoglienza si potevano aspettare gli optanti italiani germanofoni! Eppure qualcuno racconta che vennero ben accolti, in virtù di quella legge che in tempo di guerra, fra morti di fame ci si capisce e ci si aiuta sempre, a prescindere da dove si arriva e per quale motivo ci si muove. Ogni tanto ci penso, se anch’io, trovandomi in una situazione simile, fra una comunità sconvolta dalla propaganda nazista e dalla freddezza italiana dell’epoca, avrei potuto decidere di lasciare la mia terra per andare a cercarne una migliore, o se sarei tranquillamente rimasta dove ero nata ad attendere tempi migliori. Chi rimase, in quel caso, fece la scelta meno dolorosa e che si rivelò più fortunata.
La famiglia di mio padre rimase, quella di mia madre partì. E quando i tedeschi persero la guerra, tutti gli optanti dovettero tornare ai paesi di origine e si ritrovarono più poveri e miseri di quando erano partiti. E qualcuno morì durante il viaggio, specie i più deboli, come il mio bis nonno, che allora come oggi, i vecchi non li volevano e li toglievano di mezzo con un un’iniezione.
Al loro ritorno, non erano né italiani, né tedeschi; le loro case erano state saccheggiate e svuotate… dai tedeschi, si disse, o forse dai fascisti, o da chi rimase e che di certo non poteva farsi scrupoli di coscienza, vista la situazione di estrema povertà. Qualcuno mi ha raccontato che non c’erano più nemmeno i vetri alle finestre e si mangiava di tutto, pur di stare in piedi, compreso il cibo per i maiali e dei polli dei masi vicini. Spesso gli uomini erano al fronte, a combattere una guerra ormai persa, o come mio nonno, internati nei campi di concentramento.
Quella era la Guerra, quella vera, quella che nessuno di noi per pura fortuna generazionale conosce. E quando si mandano armi in paesi stranieri per sostenere e fomentare una schifezza simile, ci si dovrebbe chiedere se ancora abbiamo una coscienza. Quella era la Fame, quella vera, quella che nessuno dei benpensanti politicamente corretti odierni sanno cos’è! Non lo so nemmeno io e so di essere fortunata per questo, ma ho coscienza che potrebbe accadere di nuovo e ovunque, se la gente dorme. Il paese della cuccagna si era rivelato una bufala, un’utopia, un miraggio!
Perché se punti sul cavallo sbagliato in queste cose, non perdi solo i soldi e la roba; in questo gioco di inumana follia in palio c’è la Vita. Noi non ne sappiamo niente e nemmeno ci vogliamo ricordare i racconti di chi le ha vissute queste vicende, perché sono scomodi e folli. Ci ricordano di quanta stupidità e gratuita crudeltà può produrre il genere umano in nome di frasi fatte e di ideologie malate e senza senso, propagandate con effetti speciali e frasi ad effetto; il fine? Solo uno: il profitto predatorio di pochi sulla pelle di molti.
E prima ancora? Prima ancora scapparono gli emigrati in America e i fratelli della mia bisnonna furono fra quelli; partirono, ma non se ne seppe più nulla! Forse fecero fortuna, o forse no, chissà… E oggi? Oggi siamo qui, in questo paese di gente che dorme, che non sa ricordare, che non vuole capire, che non sa vedere e si fa manipolare con storie assurde, storie già viste e neanche tanto tempo fa e che basterebbe andare a rivedersele per capirle bene, ma che di volta in volta diventano sempre più presenti, attuali, assurde, devastanti e pericolose e più sono assurde e più le menti spente da decenni di fuffa e di cazzate mediatiche e propaganda camuffata di perbenismo, sembrano felici di crederci!
E io? Mah…Penso che io, nonostante tutto, per il momento, in questo folle paese senza senso e senza senno, ci rimango mio malgrado. “A me mi” salvano i boschi e le Storie Selvatiche, per il momento. E poi si vedrà.
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