Si svegliava sempre alla stessa ora, perché un codirosso spazzacamino sfidava i gatti e veniva a posarsi sul balcone, cantando il suo buongiorno, finché lei non si alzava e con un inchino lo salutava. Poi il codirosso se ne volava via, non troppo lontano, come se volesse sincerarsi che lei non sarebbe ritornata a letto, perdendo la sua giornata in pigre meditazioni.
Le giornate passavano velocissime, tanto che gli orologi a batteria si fermavano sempre più spesso, perché consumavano le pile in un batter d’occhio. Si potevano presagire fatti mai visti in un tempo tanto accelerato, ma probabilmente sarebbero avvenuti senza che nessuno se ne avvedesse, perché si sarebbero verificati in tempi troppo effimeri per poter essere percepiti. Occorreva affinare i sensi.
Lei si esercitava a lavorare con la mano sinistra, pur essendo destrimane; pensava che la cosa avrebbe reso meno noiosa la sua missione in un mondo che la riteneva pressoché invisibile. Era estremamente frustrante essere consapevole di cose immense in un contesto umano che riteneva il Creato qualche cosa di scontato e di poco conto. Lei sapeva che le magnificenze esistono e si rivelano solo a chi rimette in moto facoltà di percezione oramai atrofizzate nel cervello dei più e non si preoccupava molto della pochezza umana; la soluzione si sarebbe rivelata da sola, perché la Natura sa sempre cosa fare e come farlo.
Si dedicava all’”arte” e veniva derisa e commiserata per questo, ma lei non se ne curava, perché nemmeno se ne avvedeva. Il vecchio un giorno le disse: “L’eccellenza è cosa di poco conto se svelata dove il massimo dell’acume consiste nelle furberie dedite a ingannare il prossimo!” Lei ricamava su un panno di lino con la trama molto fine e ci metteva i colori che più le piacevano; il disegno era un arabesco quasi barocco di fili dorati, verdi e rossi, molto complicato e decisamente inusuale. Ricamava per diletto, su un panno che poteva avere l’unica utilità di essere bello, perché ricamato. E intanto il tempo correva.
Le cicale a mezzodì cominciavano il canto frenetico e insistente e finivano a tarda sera, quando a cantare rimanevano i grilli, più discreti e meno frastornanti. L’allocco veniva a dare l’avviso dell’ora del sonno e lei accendeva l’incenso e la candela. Pregava e intanto la notte stendeva le braccia sulle colline e lasciava cadere la rugiada fra i passi cauti dei cervi e delle lepri. I lupi si muovevano ed il branco annusava l’aria. L’odore del buio saliva dai muschi e dagli stagni fra gli occhi invisibili dei boschi.
Sognava e forse ogni notte un po’ moriva ed il sonno era breve e repentino, come il ticchettio degli orologi sulle pareti. Il codirosso prima che la Luna fosse alta si veniva a posare silenzioso sul panno ricamato e col piccolo becco stringeva un po’ i fili, sistemava la trama prima di volare al nido e metter la piccola testa sotto l’ala.
Il tempo allora accelerava ancor più il ritmo e le radici degli alberi crescevano, i frutti maturavano, le spore si aprivano in nuvole di fumo attraversate dai raggi della luna e tutto, mentre il mondo dormiva, accadeva. Lei incontrò il vecchio su un lungo sentiero bianco e lui le disse: “A chi non sa, non verrà detto e a chi non sa vedere non verrà mostrato.” Le falene si davano convegno ignare fra i voli rapaci dei pipistrelli e le salamandre dagli occhi dolci uscivano dal terreno e chiamavano acqua.
Il Sole portò altro oro al levarsi dell’alba che non sapeva più essere lenta, ma esplodeva fra le nebbie come in un vortice di polvere finissima fatta di impalpabile velo. Il codirosso aprì l’occhio di spillo, volò sul balcone e riprese a cantare. Il tempo è Oro!
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