Adesso mi metto un foulard in testa e vado a raccogliere gli ultimi fiori prima che sfioriscano, che devo farmi l’olio di iperico per l’inverno prossimo. Ho visto una poiana oggi, appena sveglia, dal balcone della mia camera da letto, che tondava in cielo, sempre più in alto e lanciava insistente il suo richiamo. Poi ne ho vista un’altra, più piccola; era il maschio della coppia. Le poiane rimangono insieme per tutta la vita, se tutto va bene. Sono monogame.
Le nuvole basse a mezza costa dei monti però chiamano pioggia e penso di non poter andare troppo lontano, che poi rischio una bella lavata e mi tocca rientrare correndo e no, non ho voglia di correre. Io non ho mai voglia di andare di fretta, che c’è tanta roba da gustarsi in giro per il mondo e mi va di vedere tutto per bene, prima di passare ad altro.
Un codirosso spazzacamino viene sempre a farmi visita, posandosi sul filo del telefono di fronte alla finestra; pare voglia mettersi lì come fanno le comari da un balcone all’altro, quando vogliono raccontarsi un po’ le ultime nuove sulla situazione del quartiere. Lui si posa lì e comincia il suo ceck ceck ceck ceck ciarliero e non smette finché non mi vede; poi io gli dico qualcosa, lo saluto e gli chiedo come va oggi e lui riprende: ceck ceck ceck…ceckceckceck… ceck. E allora, quando smette io gli dico che ha tutte le ragioni di essere indignato, che no, non c’è più nulla di cui rallegrarsi quando si guarda in basso e che fa bene a starsene sui sui rami a guardare le nuvole che passano.
Mi metto il foulard in testa, alla moda delle donne di un tempo, come facevano nei miei paesi quando si andava nei campi e mi sistemo un attimo lo zaino che ho preparato la sera prima sulle spalle; mi prendo l’alpenstock, quello che mi sono intagliata due anni fa, che è il più leggero e resistente e mi incammino con il cane al seguito. Ci sono i funghi adesso e si possono raccogliere. Il bosco mi accoglie con il profumo di muschi e terra bagnata; ieri sera ha piovuto e c’è sapore di nebbia nell’aria tiepida. Non incontro nessuno, che i turisti adesso se ne sono già scappati nelle loro metropoli e io mi sento sollevata e al sicuro mentre percorro il sentiero un po’ fangoso dove i lupi e i cervi hanno lasciato la loro firma personale, con zampe e zoccoli ben incisi durante un galoppo frenetico, a testimonianza di una notte agitata, che probabilmente si è conclusa con la morte di uno di loro ed un pasto sicuro e abbondante per gli altri.
I cinghiali li vedo in fondo al grande prato, in branco, con i piccoli dell’anno che scavano già le zolle; l’appostamento del cacciatore poco distante è deserto e per oggi possono continuare indisturbati il loro lavoro di distruzione del manto erboso, in cerca di bulbi e radici succulente. Il proprietario del prato si lamenterà di certo, ma oramai è troppo tardi. Trovo i funghi, belli, freschi, scuri e perfetti, immersi nel muschio morbido e umido, fra il verde brillante. Mi inginocchio, li osservo, li raccolgo, li pulisco bene e risistemo le buche mentre il cane mi osserva curioso e paziente. Proseguo.
Trovo l’Amanite muscaria; la trovo meravigliosa e le faccio una foto. E’ il fungo delle fate, o degli gnomi, come dice qualcuno; gnomi, fate e unicorni te li fa vedere davvero se la consumi, che ha proprietà allucinogene potenti e offre uno sballo gratuito, con allucinazioni uditive e visive anche potenti, ma altrettanto pericoloso e potenzialmente letale, soprattutto per gli incauti stupidotti in cerca di emozioni forti. Se ne faceva un uso rituale presso le popolazioni siberiane che praticavano lo sciamanesimo; il punto è che loro sapevano bene cosa facevano e perché lo facevano, mentre oggi, la gente di queste cose non sa proprio più un benemerito ca..volo.
I funghi sono esseri meravigliosi e vanno rispettati; alcuni sono indicatori di luoghi sacri e vanno riconosciuti. Calpestare o rovinare i funghi come fanno certe persone stupide che frequentano senza merito e con spirito predatorio i boschi e le montagne, è da bifolchi incoscienti; ogni gesto che richiama mancanza di rispetto, prima o poi si paga e a volte si paga anche caro.
Quando ancora lavoravo come forestale ho seguito molti fungaioli per lunghi tratti e li osservavo da lontano; faceva parte del mio lavoro. Li ho visti spesso distruggere senza scopo e senza motivo una quantità infinita di funghi non commestibili, con rabbia e dispetto… e in certi momenti ho provato grande disprezzo per quella gente che non aveva il minimo senso di rispetto per le cose del mondo, per i doni della Natura.
Erano decisamente le persone sbagliate nel posto sbagliato. I funghi non commestibili sono meravigliosi a vedersi, ed è bello vederli nell’arco del loro ciclo, fino al deperimento che nutre la terra. Chi non li sa rispettare è a livelli molto peggiori di un animale, perché gli animali, o se ne cibano, o li lasciano in pace, i funghi. E non di rado erano le stesse persone che lasciavano in giro rifiuti di ogni tipo nei boschi, urlando e schiamazzando per tutto il tempo che giravano; la coerenza nell’essere perseveranti nella stupidità non manca mai.

Molti anni fa, uno di questi fungaioli da predazione l’ho seguito per più di un’ora e dopo aver compiuto il suo lavoro di distruzione metodica, è scivolato su una semplice radice bagnata e si è fracassato una spalla e ha battuto la testa; portato a valle d’urgenza dal soccorso alpino che ho chiamato personalmente, ne ha avuto per mesi, prima di rimettersi in piedi.
Ora, per chi sa leggere certe cose, quel che è accaduto non stupisce minimamente; il rispetto per certe cose è una Legge e se viene violata, la Natura prima o poi ti presenta il conto, in un modo o in un altro. I funghi lasciateli stare se non li volete raccogliere e se invece li raccogliete, fatelo con gratitudine e attenzione; puliteli sul posto, lasciate le loro spore ed ife al terreno e ringraziate il bosco per averveli voluti donare. Solo dopo potete metterli nel cesto; questa è la vera Legge. Poi c’è anche la Legge degli uomini, che più o meno, per una volta dice la stessa cosa.

Riprendo il sentiero che sale con un dislivello da togliere il fiato, arrivo sul pianoro in quota e vedo il mio iperico; ne raccolgo solo il necessario per fare un po’ d’olio, ringrazio e ritorno a Valle con il profumo dei fiori e dei funghi che mi accompagna. Il cane mi precede e ogni tanto si gira per vedere se lo seguo, perché io non so camminare senza dovermi fermare ogni tanto a osservare le bellezze del mondo, e lei lo sa; mi guarda paziente, fa qualche passo indietro verso di me, si mette seduta ai miei piedi e aspetta. Poi quando riparto io, riparte anche lei, la mia ombra.

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