Quello che vi sto per raccontare non ha niente a che vedere con il film “Il sesto senso”, dove un bambino vede e parla con i morti; metto le mani avanti perché vorrei che fosse chiaro. E non ha niente a che vedere nemmeno con l’uso di funghetti o erbe allucinogene con effetti alla LSD. Purtroppo o per fortuna non ho mai avuto occasione di fare esperienza diretta con queste sostanze, quindi non ve le posso raccontare.
No, quello di cui vi voglio parlare è un altro tipo di “sballo”, se così si può chiamare; una roba che non ha nulla a che vedere con le nostre tare terrene, allucinogene o allucinanti che siano, più o meno legate all’uso di farmaci o psicofarmaci.
Esistono luoghi nei boschi, che se tu ti metti un attimo ad ascoltare, pare che ti sussurrino all’orecchio, o qui, dietro alla nuca; non lo so di preciso cosa intendano dire, perché probabilmente non parlano la mia lingua, ma una cosa è certa: starli ad ascoltare è estremamente emozionante e altrettanto affascinante. Accade di avvertire sensazioni molto diverse, quando questo accade.
Può succedere che capisci che sei nel posto sbagliato, che ti devi allontanare da lì; allora prendi su e te ne vai. Oppure hai una sensazione di divertimento inspiegabile, che non sai bene da dove arriva e perché, ma improvvisamente ti prende il buon umore e sorridi; in quel caso sai che puoi rimanere. Ribadisco che non faccio uso e non ho mai fatto uso di psicofarmaci; io a ste cose ci arrivo senza chimica, giuro!! Ci sono poi luoghi particolari che invitano al Silenzio, a quello vero e profondo. Di solito sono i posti delle trincee. Mi scuso con chi si aspettava che questo fosse un post divertente, ma in questo periodo va così e non posso farci niente. (Ciao Zipgong! 😀 )
C’è un promontorio sugli altipiani dove un tempo si sono combattute battaglie cruente e dove i morti nelle trincee ci sono rimasti per davvero, a centinaia. Erano i giovanissimi arruolati per la Grande Guerra di posizione, quelli che hanno dovuto stare per mesi e mesi con gli scarponi senza suole immersi nel fango, nella neve e sotto il fuoco nemico degli obici e delle granate. Ogni tanto io ci passo in quei posti, perché sono ubicati in posizione strategica e sopraelevata e da lì si domina il mondo. Nel terreno le trincee esistono ancora, e anche le ampie buche scavate nel terreno dai proiettili degli obici. Quando ci passo è inevitabile cadere nella commozione e il pensiero va a quei ragazzi.
Non è come quando passi davanti ai monumenti in onore al milite ignoto che trovi nei centri abitati; in montagna è diverso. Hai veramente la sensazione di poterli “sentire” quei poco più che ventenni che sono caduti lì e che probabilmente riposano sotto quell’erba silicea d’alta quota; giovanissimi morti senza nemmeno sapere bene il perché, eseguivano semplicemente gli ordini che li hanno portati alla morte. Un ordine ingiusto non va mia eseguito! Questo l’ho imparato nel tempo ed è diventato un mio mantra.
Erano contadini e figli di povera gente e mi vien da pensare che non è come ce la raccontano sui libri di storia (quella con la s minuscola); mi viene da pensare che loro alla Patria manco sapevano bene se era vero che ci appartenevano e che da lassù il pensiero non andava certo al loro re, o imperatore, ma alla loro madre, alla fidanzata e ai padri e ai fratelli che erano stati mandati a combattere come loro. Le cartoline scritte in un italiano stentato e dialettizzato che arrivavano dal fronte e che ancora qualcuno conserva, confermano.
La guerra è sempre stata una porcheria e questo è scontato, ma è scontato anche il fatto che l’umanità, ciclicamente si rimette a farla. L’umanità ha la memoria corta, questo è il punto che viene banalizzato dall’ovvio. In uno di quei giorni d’autunno in cui mi sono fatta sorprendere da un tramonto mozzafiato, ho pensato che l’umanità ha la memoria corta perché rimane a farfugliare amenità nei centri urbani, anziché fare un sacrosanto sopralluogo su quei luoghi della memoria con il dovuto senso di rispetto.
Se ne stanno lì assiepati davanti ai banconi dei pub, sorseggiando spritz e martini mentre a casa qualcuno fa zapping davanti a un televisore che vomita oscenità; ho pensato che tutto si ripete, proponendo orrori che crescono in maniera esponenziale e man, mano che la tanto decantata tecnologia si “evolve” e produce nuove armi, sempre più letali e sempre più inumane, proprio perché l’umanità non si mette mai ad ascoltare in posti dove il vero Silenzio regna sovrano. E non lo fanno perché non lo sanno più fare, perché non si ricordano nemmeno più che si può fare. Pochissimi di quelli che arrivano lassù riescono a stare zitti con la giusta predisposizione d’animo!
So per certo che ci sono persone che quando si trovano in montagna, dopo qualche minuto che camminano nei boschi o sui sentieri, vanno nel panico più totale proprio perché non sopportano il Silenzio; figuriamoci se riescono a mettersi ad ascoltare i sussurri che vengono dal passato! Se gli capita di sentirli, come minimo si cagano sotto e occorre fargli un TSO! Eppure, quello sarebbe l’unico modo per evitare il reiterarsi ciclico di un orrore senza senso (saper ascoltare il Silenzio, intendo, non il TSO!).
A chi mi chiede cosa può insegnare la montagna, io ci metterei anche questo, fra le altre cose: la montagna insegna a rispettare chi è morto troppo presto e per motivi stupidi; insegna a stare in Silenzio obbligandoti ad ascoltare te stessa, che è poi quello che alla maggior parte della gente fa tanta paura; insegna a prendere esempio dai selvatici, che non starnazzano e non sbraitano mai, chiamandosi fra loro come degli ossessi; la montagna insegna a stare un po’ zitti, ecco. È così semplice!
Il punto è che la maggior parte delle persone che arrivano lassù con le seggiovie, il camper o con le comitive organizzate, non sanno assolutamente niente di tutto questo; loro arrivano, scendono e postano il selfie con lo sfondo del paesaggio su facebook facendo il culo di gallina e la v con le due dita; poi rimangono per il resto della giornata con gli occhi incollati allo schermo del telefonino per vedere quanti like gli arrivano. Non sanno più nemmeno vedere dove sono, figuriamoci se sanno ascoltare, o addirittura “sentire”!
Peggio per loro; non sanno cosa si perdono!
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